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Le psicosi

Le psicosi

Il termine psicosi indica una tipologia di disturbo psichiatrico, contenente una grave alterazione dellequilibrio psichico del soggetto, che presenta unalterazione della percezione della realtà, disturbi del pensiero con forme di delirio e di allucinazioni di ogni tipo (uditive, tattili, visive, olfattive e gustative), difficoltà grandi ad iniziare delle attività ed a provare sentimenti verso altre persone.

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Gli studi sulle psicosi hanno le loro radici nella metà dell’800 con Ernst von Feuchtersleben che le intese proprio come “follia o malattia mentale”.  Con l’avvento della psicoanalisi ci fu un’evoluzione e si giunse ad interpretarle come una rottura del rapporto dell’Io con il mondo esterno, causata dalla pressione dell’Es sull’Io. Secondo Freud, l’Io cede all’Es per recuperare lentamente e parzialmente la costruzione di una nuova realtà mediante il delirio, con il recupero di un rapporto oggettuale. Per Melania Klein, le psicosi sono legate alla caduta nella posizione schizoparanoide durante la prima infanzia.  

Numerose le definizioni delle psicosi, ma in sintesi le forme che rientrano nella classificazione più comune sono: la schizofrenia, il disturbo delirante, il disturbo schizo-affettivo, il disturbo schizofreniforme, ed il disturbo psicotico breve. I fattori interessati nello sviluppo di questa tipologia di disturbo sono biologici, genetici, sociali e psicologici e nessun individuo può essere certo di rimanerne immune tutta la vita e questo tipo di malattia colpisce circa l’1,5 della popolazione e bisogna, comunque precisare che non tutte le situazioni sono uguali in quanto vanno considerati diversi fattori : l’età dell’esordio, il contesto ambientale generale, la struttura familiare, la precocità delle cure e il tipo di cura che ha un ruolo, importante e decisivo per il suo iter. Altri elementi, da non sottovalutare sono: il coinvolgimento della famiglia nel processo terapeutico, l’aspettativa dei familiari e di chi si occupa del paziente, l’atteggiamento di chi segue il malato. I risultati, pertanto, sono molto diversi.

Il trattamento più riconosciuto nelle fasi acute è quello farmacologico. Esistono due gruppi di farmaci: gli antipsicotici tipici (chiamati anche neurolettici) e gli antipsicotici atipici (definiti di nuova generazione). I primi sono stati utilizzati a partire dall’inizio e fino alla metà degli anni ’50, ed essi hanno dato buoni risultati nell’eliminazione dei disturbi del pensiero, nelle allucinazioni e nei deliri e, se assunti costantemente, consentono la riduzione del rischio di ricadute. I farmaci della “nuova generazione” o “atipici” hanno la capacità di ridurre gli effetti collaterali neurologici, migliorando anche alcuni deficit cognitivi legati a questo tipo di malattia. Tuttavia, insieme ai farmaci, somministrati attraverso un’accurata analisi del singolo caso da parte dello psichiatra – che non va cambiato, una volta scelto (salvo incompetenza riscontrata) - è necessario un intervento psicoterapeutico di recupero e di riabilitazione, attraverso un lavoro diretto sul soggetto per consentirgli un reintegro nella comunità, nonché l’acquisizione di abilità sociali e lavorative e, un intervento contemporaneamente sulla famiglia, cercando di offrire un supporto ad essa nell’affrontare la malattia del proprio congiunto.

Gli interventi riabilitativi per migliorare la qualità della vita hanno avuto un incremento notevole, attraverso l’inclusione, a livello sperimentale, di programmi mirati di riabilitazione neurocognitiva per la memoria, l’attenzione, nonché le funzioni esecutive in contesti riguardanti programmi psicosociali più evoluti ed integrati.

 

Maura Livoli
Psicologo, psicoterapeuta, sessuologo, psicoanalista

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